Dopo 43 anni di attività la sonda Voyager 2 sta continuando il suo viaggio verso l’universo inesplorato, il secondo manufatto costruito dall’umanità a varcare i confini del nostro sistema solare. Infatti è la gemella della Voyager 1 che è stata la prima ad arrivare fin là, costruite esattamente identiche, ma la 1 è partita curiosamente nello stesso anno, ma qualche giorno più tardi. Così comincia questa storia di sonde, idrogeno e di un genio dimenticato.
Sonde gemelle, orbite differenti
La differenza sostanziale dunque tra le due sonde è l’orbita che hanno percorso, durante il loro viaggio verso il confine del Sistema Solare. Ecco quindi che nel 2012 la Voyager 1 ha varcato il limite che definisce l’influenza del sole, detto eliopausa, per entrare nello spazio interstellare avendo compiuto un orbita più breve per giungervi. Difatti la Voyager 2 ha varcato il suddetto confine “solo” nel 2018, dato che ha visitato più da vicino i due pianeti giganti del nostro sistema, Giove e Saturno. Durante il viaggio gli scienziati si resero conto che il raro allineamento planetario, era un’occasione più unica che rara per far visitare alla sonda anche Nettuno e Urano. E così fecero.
Lo spazio interstellare è più denso di quanto credevamo
Quindi le due sonde Voyager hanno inviato i dati raccolti sulle proprietà della spazio, oltre il confine del nostro sistema solare, e quelli della Voyager 2 hanno confermato quelli della Voyager 1. Ovvero che lo spazio oltre l’eliopausa è più denso di quanto ipotizzavamo, infatti non è “vuoto” o almeno non completamente. E la materia che lo compone ha sì una densità bassa, ma comunque esiste.
New Horizon e l’idrogeno
Un’altra sonda che bazzica lo spazio interstellare è la New Horizon, partita nel 2006, e anche lei ha confermato i dati di un’altra missione detta IBEX. In sostanza i dati raccolti ci dicono che nel mezzo interstellare ci sarebbe il 40% in più di idrogeno, a differenza di quanto credevamo. L’idrogeno, assieme all’elio, è l’elemento che compone la gran parte del nostro sistema solare. Addirittura la nostra stella, il Sole, ne è costituita per il 74% della massa e il 92% del suo volume.
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L’importanza dell’idrogeno
Così parlando di idrogeno, non posso esimermi dal menzionare una donna geniale, alla quale dobbiamo molto in termini di comprensione del nostro universo. Cecilia Payne Gaposchkin è la astrofisica in questione, anglo-americana nata nel 1900, nel 1925 si laureò in astronomia ad Harvard con la tesi “Stellar Atmospheres, A Contribution to the Observational Study of High Temperature in the Reversing Layers of Stars”. L’astronomo Otto Struve la definì “Indubbiamente la più brillante tesi di laurea mai scritta in astronomia”. Infatti indicava che la nostra stella era composta principalmente da idrogeno, contrariamente a quanto si riteneva erroneamente allora cioè che fosse composta da ferro. Ma all’epoca essere donna non andava molto d’accordo con l’essere astrofisica.
Henry Norris Russell, astrofisico di fama internazionale, convinse Cecilia Payne a rivedere il suo lavoro e a decurtare la sua tesi di diverse decine di pagine. La sua scoperta venne così declassata come “probabilmente non reale”, e l’intera comunità scientifica non la prese sul serio. Ma, 5 anni più tardi, lo stesso Russell approfondì gli studi sulla composizione del Sole e giunse alla stessa conclusione della Payne. Ne pubblicò i risultati, prendendosene il merito e citandola a margine di quella che l’astronomo dichiarò essere una delle più importanti scoperte scientifiche di sempre.
Il giusto riconoscimento per questo genio dimenticato
Nel 2002 Jeremy Knowles, preside della facoltà di Arti e Scienze presso l’Università di Harvard, commentò:
“Il più importante contributo scientifico di Payne-Gaposchkin è stata la scoperta che l’idrogeno è milioni di volte più abbondante che qualsiasi altro elemento nell’universo. Ogni studente sa che Newton ha scoperto la gravità, che Darwin ha scoperto l’evoluzione, che Einstein ha scoperto la relatività. Ma quando si parla della composizione del nostro universo, i testi di scuola dicono semplicemente che l’elemento prevalente è l’idrogeno. E nessuno si domanda come facciamo a saperlo… Dopo l’assegnazione del suo dottorato, Cecilia tenne delle lezioni al dipartimento di astronomia, ma non vennero mai inserite nell’elenco dei corsi. Ha diretto la ricerca universitaria senza che fosse fatto il suo nome, non aveva alcun titolo per effettuare le sue ricerche, e il suo misero stipendio era classificato dal dipartimento sotto la voce “attrezzature”. Ma nonostante tutto sopravvisse e prosperò”.
Dunque parlando di universo e idrogeno, dobbiamo ricordarci che quello che sappiamo lo dobbiamo a questa donna geniale alla quale, anche se con estremo ritardo, dovremmo essere grati. Tutti.
Thank you, Cecilia.
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