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Selfie agli Uffizi per tutti, ma vietato per Chiara Ferragni

selfie agli Uffizi per tutti, ma vietato per Chiara Ferragni?

Vogliamo fare una piccola analisi sullo scandalo di Chiara Ferragni agli Uffizi. Scandalo perché agli Uffizi possono entrarci mafiosi, politici, vescovi e chi più ce ne ha ce ne metta, ma non Chiara Ferragni!

Premessa

Chi vi scrive non è un fan di Chiara Ferragni. Però ammiro l’impero che è riuscita a tirare su sfruttando il momento giusto, azzeccando la strategia sui social e del proprio, anzi dei propri, business.

Ma prima: Nelle puntate precedenti…

La nota influencer viene assoldata dagli Uffizi e dalla rivista Vogue per fare un servizio fotografico all’interno del museo di Firenze. Finito il servizio, siccome il museo era chiuso al pubblico ed era quindi possibile godersi la bellezza di quelle opere in santa pace, ne approfitta per un tour personalizzato con il direttore del museo, Eike Schmidt. Lo avrei fatto anch’io e lo avreste fatto anche voi, non siate ipocriti.

Si scatta qualche selfie, si fa fare qualche foto in posa e fa semplicemente quello che avrebbe fatto chiunque: pubblica le foto su Instagram scrivendo letteralmente “Also guys now It’s the best time to visit museums and @uffizigalleries is one of the most special in the world“. Tradotto: “ce dovete veni’ che è na figata sto museo“.

Da quel momento in poi: follia.

 

La mia analisi a caldo

Incollo ciò che scrissi su Facebook quel giorno.

In merito all’enorme polemica sulle foto della Ferragni agli Uffizi: bisogna distinguere il mezzo dal fine.
Chiara Ferragni su instagram ha 20,5 milioni di followers (per fare un confronto stiamo parlando di quasi un terzo degli abitanti di un’intera nazione come l’Italia) sparsi in tutto il mondo. La foto in questione ha ottenuto più di 600.000 like, senza contare le ricondivisioni di queste foto che verranno viste da altre centinaia di migliaia di persone e senza contare l’enorme copertura mediatica generata da articoli di giornali, passaggi televisivi, tg e discussione sui vari social tipo questo post. La Ferragni, dal punto di vista della strategia marketing, è stata il mezzo perfetto perché con dei semplici scatti ha fatto parlare di sé e degli Uffizi: nel bene e nel male purché se ne parli.

L’influencer marketing funziona, lo dicono semplicemente i dati.

Se poi alle persone sta sul caxxo la Ferragni perché il successo automaticamente genera ammirazione o invidia, allora questo è un altro discorso.

La mia analisi a freddo

Perché poi sono usciti i dati. E i dati ufficiali degli Uffizi ci hanno detto che, indovinate un po’, quegli scatti sono stati un successo e hanno generato, come previsto, i seguenti numeri:

  • nei giorni successivi, gli Uffizi sono diventati trend topic sia su Twitter che su Instagram
  • nel weekend successivo ci sono stati ben 9.312 visitatori, cioè +24% rispetto al weekend precedente, che ne aveva registrati 7.511
  • c’è stato un anomalo boom di visitatori di età sotto i 25 anni: +27%. Un caso? Eh sì, sicuramente!
Il caso Ferragni

Ovviamente nel mezzo dello shitstorm buona parte delle offese erano dedicate alla persona, non a ciò che ha fatto. Qui potremmo aprire un capitolo su quanti, soprattutto uomini, si sentano in qualche modo giustificati dalla propria frustrazione nel non aver neanche provato a raggiungere un scopo nella vita, ma se ce la fa un’altra persona allora partono offese e invidia a palate. O potremmo ragionare in generale sul ruolo della donna di successo, della donna imprenditrice, ecc. Vi riporto ad un altro articolo qui in cui parlavo della parità di genere sotto diversi punti di vista.

Per non parlare del fatto che l’influencer da più di 20 milioni di follower da quando è iniziata la crisi dovuta al lock-down sta sponsorizzando realtà italiane alle quali dare maggiore visibilità, come ad esempio i Musei Vaticani e la Cappella Sistina o il Museo Archeologico di Taranto, la Cattedrale di Otranto, portando addirittura Dior a sponsorizzare il Duomo di Lecce e le terre del Salento.

E non stiamo parlando di un’attivista, una filantropa o una politica, ma semplicemente di un’imprenditrice.

E l’imprenditrice, lasciatemelo dire, la sa fare benissimo perché sa benissimo che queste azioni oltre a portare visibilità a questi luoghi portano maggiore rilievo e flusso anche al suo brand.

kito

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