Ho bevuto? Sì. Lo voglio? No.
Eppure mi ritrovo con il volto contro quel vetro, la sua mano che mi tiene, l’altra che mi spoglia, lui, che mi bacia, come se io non fossi lì, a urlare a bassa voce che non mi va, che non ho nemmeno la forza di alzare un braccio, mentre mi gira tutto intorno per l’alcol.
“Lo vuoi anche tu”, ripete. Sento i suoi ansimi e vorrei scappare, sento la sua pelle contro la mia, mi sento violata. Poi i ricordi si fanno scontornati, come se fossi in un altro posto. E mi addormento.
Forse sogno di essere a casa, nel mio letto. E poi sento quella spinta e quel getto caldo sul mio corpo, e capisco lì che ha concluso. Come spiegarselo? Senza che nemmeno te ne accorgessi, ti ritrovi intrappolata nel ruolo di vittima, con dentro te l’alone del tuo carnefice.
La paura e il dolore mi uccisero quella notte.
Tremava, potevo sentirla sotto le mie mani farsi piccola, era un corpo vuoto.
Da come mi muovevo dentro lei avvertivo il calore del suo sangue, i suoi muscoli contrarsi ad ogni mio movimento, e più lei lottava, più dentro me la belva si scatenava.
Il mio cervello ha dato l’ordine di liberare i cani da guardia per farla mia.
Sentivo il suo profumo, assaporavo la sua pelle sotto le mie labbra, rubare i suoi baci, ero affamato, volevo lei, doveva esser mia!
Desideravo ardentemente entrare in lei, diventare una cosa sola. “Lo sai che ti piace!” le ripetevo, sapevo che il suo opporsi non era reale, anche lei mi voleva ma ancora non lo sapeva.
Godevo nello stringere i suoi capelli per tenerle ferma la testa, e ho goduto nel bagnare il suo corpo della mia voglia.
Lei era mia!
Arrivati a questo punto vi starete chiedendo cosa avete appena letto. E’ ciò che avviene ad una vittima di stupro e nella mente del suo carnefice.
E’ un racconto duro, crudo, senza filtri. Ed è così che deve essere raccontato.
Se guardiamo i dati ci rendiamo conto che il numero di atti di violenza sessuale nelle forme più gravi è subito dal 5,4% (1 milione 157 mila) delle donne tra 16 e 70 anni. E’ un numero altissimo e vengono denunciati in media 11 casi al giorno.
Purtroppo molti sono i casi di violenza che non vengono denunciati. Le vittime non sempre hanno il coraggio, la forza o la possibilità di denunciare chi le sevizia e le umilia. Spesso influisce la paura di essere giudicate, emarginate o addirittura messe alla gogna pubblica. Quante volte abbiamo sentito commenti del tipo “Eh ma se l’è cercata”? Denunciare, incoraggiare a denunciare, supportare ed essere solidali con chi ha subito questo genere di violenza è un dovere di cui ognuno/a di noi dovrebbe farsi carico.
Quando si parla di violenza sulle donne il problema non è solo di carattere giuridico penale, ma anche e soprattutto di carattere sociale e culturale. Punire i reati non basta perché vuol dire che siamo arrivati troppo tardi, quando lo stupro è già stato commesso. In questo caso la vittima porterà dentro di sé una ferita che non si rimarginerà mai. Prevenire questi atti, con l’educazione al rispetto degli altri, opponendosi in tutti i modi a quel pensiero malsano di alcuni individui che pensano di poter prendere quello che vogliono, come e quando vogliono. L’educazione al rispetto deve partire dalle famiglie, nelle scuole, nella società in generale.
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Un articolo forte, che tratta un argomento pesante, triste. Un argomento che troppo spesso viene ignorato. Voci che alle volte vengono fatte tacere e che invece no, non devono, anzi, si deve urlare e a grande voce. Come madre di un maschio mi sento responsabile nell'insegnare a mio figlio a rispettare le donne, che non sono oggetti di piacere ma esseri umani che vanno amati e rispettati e soprattutto a rispettare le loro volontà. Tutte le madri sono responsabili di questo insegnamento perché in primis donne.
Complimenti ad Angela per questo articolo e che possa essere un farò per tante ragazze e donne e un insegnamento per tante mamme.