(Tim Burton’s At The Mountains of Madness, USA, 1993)
di Tim Burton
con Johnny Depp, Christopher Walken, Pierce Brosnan, Michael Keaton, Lukas Haas
La trama
Siamo agli inizi del secolo scorso, una spedizione scientifica nell’Antartide guidata dal Prof. Lake (Christopher Walken) fa una scoperta sensazionale: in una caverna alle pendici di una enorme catena montuosa sono conservati i resti di quattordici forme di vita preistoriche, la cui comparsa sulla Terra sembra poter essere datata molto prima di quanto sosterrebbe la scienza ufficiale. Alcuni di questi resti sono danneggiati, ma otto di essi sono in condizioni perfette. I cani che accompagnano la spedizione cominciano ad abbaiare furiosamente, così viene costruito un recinto di ghiaccio per contenerli ed evitare che contaminino la scoperta. Il giorno dopo la scoperta, però, Lake interrompe le comunicazioni con il capo base. Il prof. Dyer (Pierce Brosnan) ed il giovane Danforth (Johnny Depp) vanno a controllare cosa sia successo e trovano solo cadaveri, tra i quali quello di un uomo e un cane sui quali sembra siano stati fatti degli esperimenti. Così i due decidono di avventurarsi con il loro aereo oltre le montagne, nonostante queste siano così enormi da provocare folli visioni.
La recensione
In pochi si aspettavano che la gotica visionarietà di Tim Burton si orientasse verso dimensioni così oscure, ma il suo immaginario folle e surreale ben si sposa con l’inevitabilità e il pessimismo cosmico del romanzo più famoso e maledetto di H.P. Lovecraft. Aiutato anche dalle incredibili scenografie di Bo Welch, Burton ci regala la sua rivisitazione con una favola nera nella quale è evidente fin dall’inizio che non avremo speranze di happy ending. Il protagonista (anche del breve prologo) Prof. Dyer è ben interpretato dal bravo Pierce Brosnan, ma a rubare le scene sono la follia evidente di Christopher Walken che riesce ad inquietare lo spettatore ogni volta che il suo primo piano, sempre più folle, compare sullo schermo ed il giovane Johnny Depp che intepreta Danforth.
L’inizio del film ha molto in comune con La Cosa di Carpenter, ma dal momento stesso in cui l’aereo comincia a sorvolare le montagne si capisce che come i protagonisti anche noi ci stiamo inoltrando in territori pericolosamente inesplorati. Ogni scena può riservarci una sorpresa, che non sempre (anche per i limiti degli effetti speciali del periodo) riesce perfettamente a comunicarci quello che Burton avrebbe voluto, ma che rappresenta ogni volta una sfida. Per il regista si tratta di spostare ad ogni scena un po’ più in là i confini del filmabile, per ll pubblico si tratta di accettare quello che vediamo sullo schermo, integrarlo all’interno di un contesto di questo tipo, cercando di entrare dentro una storia nata ai primi del novecento e volutamente non attualizzata, ma capace di comunicare qualcosa al nostro stomaco al di là del secolo che è passato.
La storia della realizzazione di questo film meriterebbe un articolo a sé, con continui rinvii, riscritture della sceneggiatura, conflitti tra produzione e regista, ma alla fine Tim Burton ha ottenuto quello che ha voluto: la fedeltà quasi completa al testo di Lovecraft e l’assoluto controllo creativo. Il film, uscito negli USA la notte di Halloween, ha ottenuto un ottimo successo iniziale ai botteghini, per poi crollare la settimana successiva. Le recensioni dell’epoca l’hanno stroncato ed il passaparola negativo l’ha reso – almeno inizialmente – un flop, ma Le Montagne della Follia è cresciuto nelle successive visioni dei critici e si è costruito un enorme seguito di appassionati con l’uscita della versione home video. Sul ghiacciaio dell’Aletsch, nel Canton Vallese in Svizzera, dove il film è stato girato, si tiene ogni primavera un festival della follia, pieno di maschere gotiche, atmosfere inquietanti, ospiti misteriosi, un viaggio negli abissi della mente imperdibile per i veri appassionati. Bellissimo, proprio come questo film.
Voto: 9/10