Recensioni incostanti: L’incredibile storia dell’Isola delle Rose e I’m your woman
Recensioni incostanti: L'incredibile storia dell'Isola delle Rose e I'm your woman
Su Netflix e Prime Video sono recentemente usciti due film molto diversi tra loro, ma che mi hanno suscitato la stessa reazione: “Bello, ma mannaggia… È una occasione perduta!”. Di uno di essi si sta parlando molto, l’altro sta passando fin troppo sotto silenzio. Si tratta di L’Incredibile storia dell’Isola delle Rose e di I’m your woman, e ho deciso di parlarvene insieme!
L’incredibile storia dell’Isola delle Rose
L’Incredibile storia dell’Isola delle Rose è una commedia italiana tratta da un vero fatto di cronaca degli anni 60: un ingegnere a cui le convenzioni sociali vanno piuttosto strette costruisce una piattaforma nel mare Adriatico al largo di Rimini, in acque internazionali e la dichiara indipendente; lo Stato italiano non reagisce affatto bene. In soldoni la storia del film di Sydney Sibilia è questa. Il regista è diventato famoso con la trilogia di Smetto Quando Voglio, un vero e proprio heist movie all’italiana, girato con un senso del ritmo e dell’azione che quasi nessuno dalle nostre parti ha. E non è un caso che suo partner nella produzione di quei film (e de l’Isola delle Rose) sia stato Matteo Rovere, l’altro “americano” tra i nostri registi, che pur con qualche caduta di stile sta tirando fuori dei lavori dal respiro davvero internazionale (Veloce Come il Vento, Il Primo Re, Romulus, il recente La Belva…).
Anche L’Incredibile storia dell’Isola delle Rose ha nel ritmo registico la propria arma migliore. Il film è strutturato benissimo, gli attori sono quelli giusti (tranne la De Angelis, che qui proprio non digerisco), la storia funziona alla grande, la colonna sonora è da applausi. Non va preso come una lezione di storia: Sibilia si è preso molte libertà per raccontare una vicenda intrigante e che poteva essere raccontata in mille modi diversi. Il Giorgio Rosa interpretato da Elio Germano è presentato come una specie di giovane anarchico naif un po’ hippy per il quale è impossibile non fare il tifo; in realtà era un ex repubblichino non troppo pentito quarantenne, un professionista libertario che ammirava molto D’Annunzio e che odiava pagare le tasse. Ma va bene così, intendiamoci, la Storia con la s maiuscola può tranquillamente essere piegata e riadattata se serve a raccontare una storia che non pretenda di riscrivere la verità ma voglia raccontare qualcosa del mondo. E l’Isola delle Rose è un perfetto veicolo per raccontare un ’68 svincolato dalla grande Politica ma legato a una nuova visione del mondo, più aperta, libera, meno disponibile ai compromessi. Funziona quando lo fa coi toni della commedia garbata e un po’ surreale (la prima notte sulla piattaforma è una chicca), funziona a sorpresa anche quando la butta in farsa, mettendo in scena un Governo Leone (uno Zingaretti irriconoscibile) che è l’apoteosi del ridicolo, soprattutto con il ministro Franco Restivo, che Fabrizio Bentivoglio trasforma da grigio accademico democristiano in una irresistibile macchietta.
E allora perché parlo di occasione perduta?
C’è un dialogo più o meno a metà film nel quale al protagonista viene rinfacciato di aver fatto tutto per amore di Gabriella, la ragazza della quale è ancora innamorato senza ammetterlo. È una frase che torna spesso, aleggia sulla narrazione per tutta la durata del film. E alla fine si rivela vera. Una riduzione all’inevitabile storia d’amore, confortante rifugio per lo spettatore e per lo status quo. Non solo premio di consolazione di fronte a una sconfitta, ma una specie di lieto fine forzato per costringerci ad affrontare i titoli di coda con un sorriso. Forse sarebbe stato pretendere troppo, ma il messaggio “hai perso questa battaglia sulla quale avevi puntato tutto per cambiare il mondo, ma hai vinto quella più importante: l’amore” mi sembra un po’ triste. Occasione perduta, appunto.
I’m your woman
E passiamo a I’m Your Woman, che è una storia completamente diversa ma che come il film italiano è ambientato qualche decennio fa: negli anni ’70, stavolta. Jean (Rachel Brosnahan) è una casalinga, non troppo disperata nonostante il marito sia un malvivente che un giorno torna a casa con un bambino e le dice di considerarlo figlio suo. Jean non vuole sapere nulla della vita del suo uomo, forse per non soffrire, forse per riuscire a godersi in qualche modo i frutti del suo lavoro. Una sera si presenta a casa sua uno sconosciuto (Arinzé Kene) che le dice di prepararsi a fuggire, che deve nascondersi e che al marito è successo qualcosa. Comincia così una fuga disperata, segnata dalla paura di essere scoperta e dal tormento dei piagnistei continui del bambino, e una ricerca della verità che porterà notevoli sorprese.
Si tratta di un altro film notevole, ben diretto e fotografato benissimo, che si prende coraggiosamente il tempo per raccontare a dovere questa storia di empowerment femminile e dell’importanza dell’aiuto reciproco. Sotto la maschera del noir/thriller la regista Julia Hart ha moltissimo da dire, e si vede. La star è ovviamente la Brosnahan, che dopo aver conquistato il mondo interpretando la fantastica signora Meisel vuole dimostrare di avere anche un notevole talento drammatico, e ci riesce appieno. Il cast di contorno funziona benissimo (nota di merito anche per Marsha Stephanie Blake), ci sono almeno un paio di scene memorabili e un bel colpo di scena finale.
E allora di nuovo, perché occasione perduta?
Se per l’Isola delle Rose ho avuto l’impressione che il film si sia accontentato di un risultato al di sotto delle possibilità della storia, qui è successo l’esatto contrario. I’m Your Woman è una storia interpretata benissimo, fotografata splendidamente, diretta altrettanto bene, che vuol lanciare messaggi importanti… nonostante sia una storia non sufficientemente interessante. Scegliere di raccontare il punto di vista della donna del boss era una scelta vincente, e un paio di volte durante le due orette di durata del film mi sono trovato a pensare che avrei voluto un “I Soprano” narrato da Carmela, o meglio ancora da Adriana. Perché, semplicemente, Jean non è un personaggio così interessante. Al di là dell’amore frustrante per il bambino c’è poco per il quale provare empatia. Non sembra avere ambizioni proprie, non si è mai preoccupata di conoscere alcunché del marito, non sa nulla di come portare avanti una famiglia, non sa neppure cucinare! È evidente che l’intenzione della sceneggiatura era mettere in scena una storia di presa di coscienza a seguito di un evento traumatico, ma se la protagonista avesse avuto un minimo di personalità il tutto sarebbe stato molto più interessante.
Quindi due occasioni perdute. Il che non vuol dire che non si debbano guardare questi due film. Anzi, spesso le visioni più stimolanti sono proprio quelle imperfette, un po’ storte, che avrebbero potuto essere qualcosa di più. In un anno difficile per il cinema va comunque segnalato che al di qua e al di là dell’oceano sta uscendo ancora molto di interessante, nonostante la chiusura delle sale ci costringa a rifugiarci nei servizi di streaming. Un film “grande” per gli standard italiani e uno piccolo per quelli americani. Non esistono solo le megaproduzioni Disney.